GABRIELE LEVI - TRADIZIONE ED INNOVAZIONE S'INCONTRANO NELL'INFINITA' DEL TEMPO

GABRIELE LEVI - TRADIZIONE ED INNOVAZIONE S'INCONTRANO NELL'INFINITA' DEL TEMPO

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Gabriele Levi, classe 1991, è un organista e clavicembalista italiano. Ha studiato con grandi maestri quali Ton Koopman, Tini Mathot, Fabio Bonizzoni e Patrick Ayrton presso il Conservatorio reale dell’Aia e con Giorgio Benati presso il Conservatorio "Luca Marenzio" di Brescia. Dopo un’educazione classica, nel 2011 si diploma in Organo e Nel Marzo del 2014 ottiene la Laurea specialistica di Secondo livello in Organo antico, Summa cum Laude, discutendo una tesi su “Girolamo Frescobaldi e la Retorica”. Nel corso degli anni ha suonato in veste di solista e camerista in numerosi concerti in Italia e all’estero. E’ Vice Presidente di “Clockbeats Orchestra” e di "Clockbeats Baroque Ensemble". E’ Direttore artistico del Festival Organistico Internazionale “Giuseppe Bonatti” presso il Santuario della Madonna di Valverde di Rezzato (BS).

Il percorso di studi che deve affrontare un musicista classico non è di certo uno tra i più semplici. Tutto ciò richiede impegno costanza ed una passione infinita. Gabriele Levi, organista e clavicembalista di enorme talento, si è affermato ormai in tutta Europa. Come si è articolato il tuo percorso artistico, dagli albori sino ad oggi? Quali maestri hanno determinato un cambiamento di visione nella percezione dell’arte, ampliandola, gratificandoti di consigli unici? Quali compositori sono più affini alla tua personalità?

Lungo il mio percorso di apprendimento e crescita musicale ho avuto la grande fortuna di incontrare, tra i tanti, quattro Maestri eccezionali. Primo fra tutti il mio storico docente presso il Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia: Giorgio Benati. Mi ha seguito passo passo come un padre dall’età di 11 anni fino ai 20 inoltrati impartendomi non solo lezioni di musica, ma anche insegnamenti di vita. Persona estramamente colta e generosa, si è sempre donato al massimo per i propri allievi condividendo senza invidie e gelosie ogni goccia del suo sapere. Segue poi un gigante del panorama mondiale, Ton Koopman: musicista strepitoso che non ha certamente bisogno di presentazioni. Una persona umilissima (qualità dei più grandi), disponibile e cordiale con tutti. Ho la grande fortuna di essere ancora suo allievo. Studiare con lui è come scalare una vetta importante: nonostante la cima appaia sempre dannatamente distante e il percorso sia accidentato, bisogna tenere duro poichè alla fine si verrà ripagati di ogni sforzo. Patrick Ayrton, insegnante di basso continuo e improvvisazione presso il Conservatorio reale dell’Aja, in Olanda. Mente brillante che fonda il proprio pensiero su crismi scientifici, caratteristica che consente di elaborare, con il tempo, un solido metodo personale. Docente attento, stimolante, attivo e, al contempo, umanamente comprensivo. E’ riuscito a trasformare la mia parte più interiore demolendo quelle che erano delle deboli fondamenta . Mi sono sentito come l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri.

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Dulcis in fundo, Matteo Imbruno: maestro e amico, binomio tanto raro quanto incredibile. Musicista di una sensibilità sconfinata, anima nobile, sempre attento alla cura del bel tocco per far cantare al meglio lo strumento. Un grande Maestro che, nel suo costante peregrinare per concerti e masterclass, ha unito tantissimi musicisti creando profondi legami in Italia e nel mondo. Tornando a monte, ritengo che il percorso artistico inizi nel momento in cui si riesce a recidere quel cordone ombelicale che è rappresentato dalla “scuola”. Nel mio caso personale l’iter artistico si è inizialmente sovrapposto a quello degli studi poichè fin da giovanissimo ho avuto insito il guizzo di organizzare eventi e concerti coinvolgento molti musicisti e offrendo al pubblico qualcosa che ritenevo particolare. La mia politica è sempre stata quella di vivere le esperienze in medias res così da imparare direttamente sul campo.

Si è recentemente conclusa la seconda edizione del Festival Organistico “Bonatti”, da te fondato, e da pochi giorni è iniziato invece il progetto dedicato alla musica barocca polacca. Come affronti e quanta preparazione è necessaria per la riuscita di manifestazioni di questo genere? Hai lavorato anche ad altri progetti ultimamente? Quali aspettative hai per il tuo futuro? Quali nuovi progetti vorresti proporre?

Organizzare è un mestiere estremamente complesso. Immaginiamo di risolvere un Sudoku senza avere alcun numero all’interno della tabella: è di certo possibile, ma molto complicato poichè le variabili sembrano essere infinite. L’attività organizzativa comporta grande concentrazione, disponibilità, prevede ore spese davanti al computer, telefonate, numerose rogne burocratiche e tanti altri fattori. Ci si ritrova ad essere demiurgo dei propri problemi. Per poter agire al meglio è assolutamente indispensabile, se non vitale, avere una bella squadra attiva che possa aiutare anche nelle circostanza apparentemente più banali: io sono e sarò infinitamente grato alla mia famiglia e ai cari amici che volontariamente hanno sempre dato una mano con grande energia e disponibilità. Quest’anno siamo arrivati alla Seconda edizione del Festival Organistico Internazionale “Giuseppe Bonatti” presso il Santuario della Madonna di Valverde di Rezzato, in provincia di Brescia, e già abbiamo pianificato la terza e la quarta (2018 - 2019). Dopo due anni di organizzazione ho avuto numerosi spunti di riflessione, ma quello che mi sento di condividere è il seguente pensiero: un evento è come un fiore, tanto rifulgente quanto estremamente delicato. Deve essere curato quotidianamente con coscienza per poi essere esibito rispettosamente e nella giusta maniera. In termini meno sibillini: ogni concerto deve essere in qualche modo speciale e va pubblicizzato nei giusti tempi, nel rispetto del decoro e sfruttando al massimo quelli che sono oggigiorno i canali di comunicazione a disposizione: social networks, televisione, mailing list, giornali online e cartacei, radio…Ricordiamoci che la gente va ai concerti solo se viene spronata e informata per tempo! Non possiamo lamentarci se i teatri - chiese - auditorium sono mezzi vuoti se non si pianifica un’adeguata azione pubblicitaria.

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A due settimane dalla fine del Festival è partito un progetto che ho molto a cuore, poichè rappresenta una parte molto importante di me: Clockbeats Baroque Ensemble. Iniziativa che è stata un vero successo sotto ogni punto di vista grazie anche alla collaborazione di un’importantissima istituzione musicale polacca quale il National Forum of Music (NFM) di Wroclaw. Abbiamo promosso splendida e semi-sconosciuta musica polacca della fine del 1600 esibendoci in Italia, presso il Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia per poi recarci nei luoghi di’origine di quelle specifiche composizioni, ovvero Varsavia e Cracovia. Il gruppo, formato da 15 elementi, è stato un punto di incontro di musicisti emergenti e affermati specializzati nella cosiddetta “historical performance practice”. Noi di Clockbeats siamo fieri di questo progetto non solo per il fatto di aver promosso arte quasi sconosciuta, ma anche ha avuto alla base un solido rispetto umano, integrazione, coesione e unione di persone che dal nulla si sono ritrovate a condividere esperienze magnifiche, nonostante l’iniziale distanza geografica (Italia, Polonia, Canada, Israele).La Musica porta alla vera unione e ce ne stiamo rendendo conto sempre di più, anno dopo anno.Quali nuovi progetti in vista? C’è sempre qualcosa che bolle in pentola…ci aspetta un fantastico 2018!

Il repertorio Organistico e Clavicembalistico classico e contemporaneo è sconfinato, ed è certo che molto hai già indagato. Con il progetto “Clockbeats Orchestra” si sta battendo un nuovo territorio, ricco di nuovi spunti e sperimentazioni. Come riesci a combinare questi due lati della tua personalità?

“Ma sì…mi chiameranno”. Questa la filosofia di molti giovani, freschi e talentuosi strumentisti che finiscono il proprio percorso di studi, ancora sognatori e speranzosi. Quasi mai nessuno chiama. E, se le chiamate arrivano, sono così sporadiche da non consentire di certo di vivere del proprio mestiere. MUSICA = LAVORO, Un musicista vuole vivere di Musica, sia essa attiva o passiva. Mi pare giusto, considerati i tantissimi anni di studio e l’investimento economico associato. Il ventaglio di possibilità a disposizione di un artista è molto ampio: può suonare in concerto come solista o in formazione da camera, può lavorare come orchestrale (sperando non diventi poi “operaio” della musica), può insegnare, ricercare, comporre, aiutare attraverso la musicoterapia, lavorare in teatro, organizzare eventi culturali , e così via.

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Ai giorni nostri, come lo era anche una volta, un musicista DEVE essere poliedrico e aperto alle sperimentazioni. Basti pensare alla figura di J.S. Bach: non solo eccelso Musicista, ma anche insegnante di latino e matematica. Ci si deve risvegliare dal diabolico torpore della noia e dell’attesa. Hic et nunc! Se non mi chiamano oggi, mi dovrò dar da fare da solo. Se avrò modo di dimostrare le mie capacità avrò allora più chance di essere notato. In fin dei conti un musicista non è altro che la fitta rete di contatti che riesce a costruirsi consentendogli di vagabondare da un palco all’altro. Senza contatti nessuno può suonare da alcuna parte, se non a casa propria (vicini permettendo). Guardiamo i grandi nomi del firmamento della Classica: tutti, nessuno escluso, hanno a disposizione un manager o un’agenzia che li fa lavorare e rimbalzare nel mondo come una pallina nel flipper. Se non si ha la fortuna di essere annoverati nel Parnaso, bisogna diventare imprenditori di se stessi e, nel mio piccolo, è un’esperienza che consiglio a tutti poichè è una doccia fredda di vita reale. Andando più nel concreto: i Conservatori e le scuole mancano di questo aspetto pratico e assolutamente fondamentale per un giovane che vuole vivere con la musica pagandosi l’affitto, le bollette, gli svaghi...Dunque, accettando la triste realtà dell’abbandono, non ci resta altro da fare che continuare a lottare nella consapevolezza che ogni deserto è allietato da un’oasi. Questo mi piace pensare di Clockbeats, che sia una refrigerante oasi in un arido contesto di solitudine.

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